Il ritorno del totalitarismo talebano in Afghanistan
L’Afghanistan sprofonda sempre più nelle strette maglie del totalitarismo talebano e per il Paese asiatico l’anno nuovo ha i connotati del 1996, quando gli studenti coranici presero il potere e diedero vita a una dei più feroci regimi teocratici del xx secolo. L’esecutivo dell’ Amir al- muminim, Haibatullah Akhundzada, infatti, a dicembre, tramite due editti, ha svelato al mondo il suo vero volto: quello di una dittatura nella quale i clerici più integralisti hanno conquistato i gangli vitali dell’amministrazione e hanno imposto l’applicazione radicale della sharia introducendo leggi dai forti richiami con quelle del governo talebano degli anni ’90. Il 6 dicembre, nello stadio di Farah, si è svolta la prima esecuzione pubblica che ha mostrato all’opinione interna e internazionale il ritorno della “giustizia talebana”. E poi, il 20 dicembre, una nuova legge redatta dal ministero dell’Istruzione superiore ha bandito le donne dalle università portando a termine quel processo di istituzionalizzazione del regime di apartheid di genere che, attraverso 16 editti, in meno di 18 mesi, ha visto le donne afghane essere allontanate dalle scuole superiori, licenziate dai posti di lavoro, estromesse dai ruoli amministrativi, espulse dalle università e le ha confinate ai margini della società privandole anche delle loro libertà individuali. Inoltre, pochi giorni prima della fine del 2022, un decreto governativo ha vietato alle ONG internazionali che operano in loco, di impiegare personale femminile. Una decisione che ha provocato l’abbandono del Paese da parte delle più importanti organizzazioni umanitarie internazionali e, in una nazione in cui il 97% della popolazione dipende dagli aiuti esterni, rischia di far sprofondare sempre più l’Afghanistan in una crisi umanitaria difficile, per noi, anche solo da immaginare.