Afghanistan: Spettro attentato
Un’ esplosione, alle 6:18 di mattina, fa sprofondare nel silenzio e nella paura l’intera città di Kabul. Di nuovo lo spettro di un attentato, di nuovo l’incubo della violenza. Passano i minuti, le ore e una notizia occupa le prime pagine di tutti i principali media internazionali. A provocare la deflagrazione è stato un attacco condotto da un drone americano di ultima generazione contro un edificio di un quartiere del centro di Kabul dove viveva Ayman al Zawahairi, il leader di Al Qaeda trasferitosi in Afghanistan dopo la presa del potere da parte dei talebani. “Giustizia è fatta!”, dichiara Biden dalla Casa Bianca e accusa il governo afghano di aver dato ospitalità a uno dei più ricercati terroristi internazionali in violazione degli accordi di Doha. L’esecutivo dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan incolpa a sua volta gli USA di aver interferito e violato la sovranità del Paese. E intanto il mondo ricorda la storia del braccio destro di Osama Bin Laden, vengono riproposte le immagini dell’11 settembre, le dichiarazioni di Bush alla vigilia dell’invio delle truppe nell’Hindukush e i 20 anni di guerra in Afghanistan. Ma oltre la cortina delle opinioni politiche, delle analisi militari e degli editoriali dei media internazionali intanto, a Kabul, la vita per la popolazione afghana prosegue tra crisi economica, repressione teocratica e segregazione delle donne. Le vecchie basi militari sono divenute oggi la sede dei ministeri dello stato guidato dai talebani, i mujaheddin pattugliano le strade, la polizia religiosa controlla che i cittadini rispettino i precetti della sharia e intanto le donne, sotto i burqa, viaggiano nei bagagliai dei taxi dal momento che non possono condividere i posti in auto con gli uomini. Nelle periferia della capitale, dove il traffico si fa meno intenso, le strade asfaltate lasciano spazio a stretti vicoli e le case si arrampicano sui ripidi pendii rocciosi, vive Awa Akbari, una donna hazara di 28 anni madre di quattro figli. "Il mio bambino più grande deve essere sottoposto a un’operazione al cervello e non ho i soldi per pagare l’intervento. La sola cosa che posso fare è vendere la mia figlia più piccola!". La storia della donna è la rappresentazione più eloquente della disperazione dell’Afghanistan e lascia spazio solo a una domanda: "Verrà mai fatta una vera giustizia anche per il popolo afghano?".